Il cervello di poliglotti e super poliglotti

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 18 febbraio 2023.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

È esperienza comune che alcune persone trovino facile e piacevole lo studio delle lingue e che altre, invece, lo trovino difficile e noioso, al punto da aver sopportato a fatica l’obbligo imposto dai programmi scolastici. La maggior parte si colloca probabilmente nel mezzo, e ciò spiega il rilievo nella maggioranza della conoscenza almeno discreta di una seconda lingua, spesso adottata per necessità professionali, e del possesso delle nozioni più elementari, insieme con un piccolo repertorio di vocaboli, di una terza lingua.

Fino al XIX secolo in Europa la conoscenza delle lingue era privilegio delle classi sociali elevate e aveva molte ragioni, fra cui: l’internazionalità delle casate nobiliari con eredità in terre straniere e biblioteche familiari multilingue; i viaggi per motivi politici, economici, di istruzione e di piacere diventati uno status simbol della borghesia emergente che imitava il ceto nobiliare; insegnanti a domicilio di madre lingua per completare l’educazione. L’inclusione dello studio delle lingue straniere nella scuola pubblica ha rappresentato la svolta per un’alfabetizzazione almeno bilingue di tutta la popolazione.

Nella cultura di massa le lingue verbali sono considerate semplicemente quali strumenti veicolari di comunicazione, ma per chi studia il cervello costituiscono sistemi simbolici gestiti simultaneamente a più livelli, da quello delle unità fonemiche o grafemiche a quello delle più alte astrazioni di cui è capace la nostra mente. Infatti, il fascino maggiore nel rapporto tra linguaggio e cervello, come ricorda spesso il nostro presidente, non consiste nella semplice capacità recettiva ed esecutiva di messaggi in un codice, ma nel fatto che tutte le lingue del mondo, tutti gli idiomi parlati dall’umanità fin dagli albori ominoidei sono un prodotto creativo del nostro cervello. Dunque, la nostra specie non è semplicemente “dotata di parola”, ma è stata capace di inventare le lingue.

A lungo, le basi della comunicazione verbale sono state concepite sull’evidenza anatomo-clinica e riferite a un modello modale – costituito dall’area di Broca (esecutiva) unita mediante un fascio di connessione[1] all’area di Wernicke (recettiva) – corredato da aree in cui si credeva fossero elaborati elementi sotto-ordinati o caratteri accessori del messaggio. Questa concezione, fondamento della neuropatologia afasiologica, considerava le sedi corticali lese nelle varie forme di afasia (motoria, recettiva, globale, transcorticale, ecc.)[2] quali “centri” esclusivi di elaborazione della componente del linguaggio danneggiata.

Il sapere sviluppato in un secolo di studi in questo ambito specifico costituiva una parte speciale e privilegiata della neuropsicologia, col suo Panteon di protagonisti della storia della neurologia e il suo bagaglio culturale di nozioni considerate la base scientifica della facoltà umana della parola[3]. È stato difficile per la generazione di studiosi precedente la nostra abbandonare questo sapere, quando con l’affinamento delle metodiche di neuroimmagine si è andata sviluppando una neuroscienza della parola che riconosceva tre reti interagenti in una complessa realtà tutta da definire, ma che non lasciava più spazio al localizzazionismo ingenuo.

Il cambiamento culturale, che in parte è coinciso col nuovo millennio, ha definitivamente superato la separazione tra linguaggio e processi cognitivi non linguistici. Anche se i sistemi neuronici dedicati alla funzione della parola hanno una specificità neurobiologica che si suole ricollegare a peculiarità di fattori di trascrizione come FOXP2, si ritiene che la specializzazione di alcune parti sia ordinariamente integrata da sottocomponenti funzionali espletate da popolazioni neuroniche “generiche” che intervengono a supporto di molti altri processi extralinguistici. Proprio in questa ottica è particolarmente interessante oggi studiare il cervello dei poliglotti, perché a differenza dello studio canonico dei soggetti bilingue, inteso principalmente a identificare e distinguere, se possibile, la base cerebrale della lingua madre da quella della seconda lingua, questo studio può fornire qualche traccia per future indagini sull’organizzazione funzionale dei sistemi che elaborano il linguaggio.

Saima Malik-Moraleda e colleghi, impiegando una tecnica di precisione della procedura fMRI (functional magnetic resonance imaging) di risonanza magnetica funzionale, hanno caratterizzato il profilo di attività fisiologica della rete neuronica del linguaggio di poliglotti e iper-poliglotti.

(Malik-Moraleda S. et al., Functional characterization of the language network of polyglots and hyperpolyglots with precision fMRI. bioRxiv – Preprint[4] doi: 10.1101/2023.01.19.524657, 2023).

La provenienza degli autori è la seguente: Brain & Cognitive Sciences Department, MIT, Cambridge, MA (USA); Department of Cognitive Science, Carleton University, Ottawa, ON (Canada); Department of Psychology, University of California Los Angeles (UCLA), Los Angeles CA (USA); Mc Govern Institute for Brain Research, MIT, Cambridge, MA (USA).

Come si diceva all’inizio, esistono persone particolarmente portate per le lingue, per cui è ragionevole supporre che a questa inclinazione corrisponda un fenotipo cerebrale particolare, ma ad oggi non disponiamo di dati di questo tipo, che ci consentano di riconoscere, magari da bambini, i potenziali poliglotti, ossia in possesso di requisiti che consentano loro di apprendere meglio e più rapidamente di altri le lingue verbali. Dunque, nello studio del cervello di coloro che si esprimono correntemente e fluentemente in tanti diversi idiomi, non possiamo con certezza distinguere ciò che è stato prodotto dallo studio nel loro cervello da quanto di diverso esisteva già prima.

Attualmente si definisce poliglotta una persona che padroneggia cinque o più lingue e, secondo questa definizione, solo una frazione veramente esigua della popolazione mondiale può ricevere questo appellativo. Da tempo i neuroscienziati si chiedono in che modo il cervello di queste persone speciali rappresenta ed elabora i differenti idiomi che ha memorizzato e di cui conosce i paradigmi grammaticali d’uso e i modi in cui danno forma a schemi prototipici di pensiero. Gli autori dello studio qui recensito si chiedono, più in generale: “Cosa può dirci questa popolazione unica sul sistema del linguaggio?”

Mediante tecnica di precisione della risonanza magnetica funzionale (fMRI), Saima Malik-Moraleda e colleghi hanno identificato il sistema neuronico o rete del linguaggio verbale nel cervello di ciascuno di 25 poliglotti. Per inciso osserviamo che si tratta di un campione straordinario, perché quasi i due terzi, ossia 16 volontari, sono super poliglotti o iper-poliglotti, ovvero ciascuno di loro padroneggia più di 10 lingue diverse.

I ricercatori hanno studiato le risposte della rete del linguaggio verbale dei poliglotti alla madrelingua (o lingua naturale), a lingue di cui avevano conoscenza a livelli differenti e, infine, le risposte a idiomi che i poliglotti non conoscevano affatto.

È risultato che tutte le lingue udite dai poliglotti evocavano una risposta affidabile al di sopra della condizione di controllo confrontata percettivamente in tutte le aree cerebrali occupate dalla rete del linguaggio verbale dei poliglotti. La dimensione o magnitudo della riposta, nel paragone tra le varie lingue, in generale presentava una dimensione in scala proporzionale al livello di comprensione: maggiore era il grado di penetrazione intellettiva del senso veicolato dalle parole, tanto più grande era la magnitudo dei fenomeni di attivazione neuronica rilevati come risposta della rete del linguaggio dalla fMRI.  A questa regola sfuggiva in tutti i poliglotti solo la madrelingua, per la quale la dimensione della risposta era sempre di bassa intensità, verosimilmente per il precoce sviluppo di connessioni semantico-cognitive proceduralizzate e, dunque, di massima efficienza con minimo consumo energetico[5].

Nella rete del linguaggio verbale dei poliglotti il pattern di magnitudo della risposta proporzionale al grado di comprensione era mantenuto sia per le lingue studiate, e quindi percepite come familiari, sia per quelle mai studiate e dunque avvertite come non familiari. Le lingue affini a quelle in cui i poliglotti avevano altissima competenza linguistica inducevano una reazione più intensa di quelle non affini agli idiomi parlati correntemente.

I ricercatori hanno poi compiuto un esperimento di verifica di un risultato ottenuto in studi precedenti: hanno posto a confronto poliglotti e volontari nella media ordinaria per la conoscenza delle lingue durante l’elaborazione cerebrale della madrelingua di ciascuno. Il risultato ha confermato quanto rilevato in precedenza: la rete del linguaggio verbale dei poliglotti produceva risposte molto più deboli alla lingua naturale della rete del linguaggio dei non-poliglotti.

Gli autori dello studio concludono dicendo che questi risultati contribuiscono alla nostra comprensione di come molte lingue co-esistano all’interno di un singolo cervello. Noi siamo invece un po’ critici circa questa affermazione, in quanto ci sembra che lo studio mostri peculiarità di risposta della rete verbale dei poliglotti, che sicuramente suggeriscono ulteriori riflessioni ed esperimenti, ma non dice nulla di specifico su “come molte lingue co-esistano all’interno di un singolo cervello”. Al contrario, ci sembra rilevante un dato emerso da questo studio e che noi non avevamo avuto occasione di evincere da lavori prcedenti: la rete del linguaggio verbale dei poliglotti risponde in modo più intenso agli stimoli dai quali l’estrazione del significato richiede più lavoro neuronico.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-18 febbraio 2023

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Il fascicolo arcuato, che nel modello classico costituiva l’unica connessione per la parola tra area motoria del linguaggio di Broca (o area 44 di Brodmann) e area recettiva del linguaggio di Wernicke (area 22 e limitrofe), è una connessione diretta; in epoca più recente, Marco Catani e colleghi hanno scoperto una connessione indiretta tra le due aree, e la nostra società scientifica ne ha dato tempestiva comunicazione, pubblicando in copertina l’immagine tridimensionale della via che si interrompe e riprende.

[2] Le afasie sono state a lungo diagnosticate in base alla “Classificazione di Boston” (Goodglass e Kaplan) periodicamente aggiornata.

[3] La caratteristica di “ambito speciale” la neuropsicologia del linguaggio la doveva a molte ragioni. Prima fra queste in ordine di tempo, il fatto che il suo fondatore, il neurologo Paul Broca, era anche presidente della Società Antropologica di Parigi, presso la quale comunicò la sua scoperta dell’area motoria del linguaggio come il raggiungimento di un primo obiettivo nella scoperta delle basi cerebrali delle funzioni psichiche umane. L’ultima ragione, in ordine di tempo, consiste nel fatto che tutta la neuropsicologia della seconda metà del Novecento si basava su accurati studi sperimentali su modelli animali, eccetto la parte riguardante il linguaggio e, pertanto, i principali trattati di neuropsicologia scientifica non contemplavano capitoli dedicati alla funzione verbale, demandata a monografie redatte da afasiologi clinici.

[4] Lo studio è un preprint non ancora sottoposto a peer-review. Il lettore può consultare il precedente studio degli stessi autori pubblicato su Cerebral Cortex due anni fa: Jouravlev O. et al. The small and Efficient Language Network of Polyglots and Hyper-polyglots. Cerebral Cortex 31 (1): 62-76, 2021.

[5] Questa interpretazione per questo genere di risposte è del nostro presidente Perrella.